Villa Garibaldi
Realizzata su un terrazzamento retrostante il convento dei Cappuccini, la villa è delimitata dalle vie Cappuccini e Salvatore Aldisio (fra di loro ortogonali) e dal profondo avvallamento (detto "burrone") che ne descrive il margine sud-orientale; si trova lungo la strada che, con denominazioni diverse, attraversa Gela seguendo un tracciato all'incirca parallelo alla linea di costa e che, non lontano dal porto, intercetta la anomalia orografica del "burrone". Quest'ultima si protende fino a raggiungere il mare, con una vegetazione (spontanea e non) piuttosto consistente, configurandosi come virtuale prolungamento della villa e come una possibile area di mediazione tra porto e spiaggia.
Sicché, oltre a risolvere - a costo relativamente basso - uno dei problemi tipici delle espansioni urbane, il giardino è già predisposto per altre opportunità come, del resto, dimostra la presenza di due ingressi monumentali: l'uno su via Aldisio (verso la città), l'altro sulla depressione (verso il mare). Ci troviamo, dunque, in presenza di un altro carattere specifico delle ville comunali italiane, cioè quello di essere luoghi di potenziale incremento della qualità urbana.
Dal punto di vista dell'impianto e della flora non ci sono particolari importanti da segnalare, se non la notevole 'cintura' di Ficus microcarpa, Cupressus sempervirens e Erytrhina viarum che segna il fronte sul burrone - un muro di contenimento in pietra, coronato da una balaustra - e che offre, per il suo andamento, una ombrosa e ampia veduta sul mare; la radura di Ficus microcarpa che individua il centro del giardino e ne ordina la composizione.
Storia
Inaugurato nel 1878, il giardino, dedicato a Garibaldi il 6 giugno 1882, fu ideato dall'ingegnere Emanuele Labiso (Gela 1825-1893) e arredato con lampioni in ghisa e panchine (della Fonderia Oretea di Palermo), con parapetti in ferro e con un busto marmoreo di Giuseppe Garibaldi, eseguito dallo scultore Filippo Luigi Labiso di Cefalù. Il busto marmoreo di Umberto I, oggi ricollocato in un'aiuola prossima all'ingresso, fu eseguito negli anni Venti dallo scultore palermitano Antonio Ugo per la piazza Umberto I, dove rimase fino al 1952. Del 1885 è il primo progetto, non realizzato, per un ingresso prestigioso con i piloni laterali a bugne rustiche, con i due muri laterali raccordati al basamento continuo di recinzione (con encarpi all'interno delle specchiature) e con un artistico cancello previsto in ferro battuto.
L'area irregolare del nuovo impianto (una parte della quale era detta "Orto Pasqualello") apparteneva al complesso dei Cappuccini, a ridosso della cui chiesa e del cui convento (aggregati in forma di L) fu sistemato il comparto del belvedere sul Canale di Sicilia. Collocato subito al di fuori della città, sull'asse viario verso Licata, poi edificato intensivamente ma allora semplice stradone extra moenia o della borgata, il giardino presenta oggi un cospicuo patrimonio floristico, sovente introdotto successivamente: Ficus microcarpa, Phoenix canariensis e P. dactylifera, Quercus, Washingtonia filifera, Chamaerops humilis, Yucca elephanipes e Y. aloifolia, Erytrhina, Jacaranda, etc. Denominata anche "Parco delle Rimembranze" in seguito alla realizzazione del modesto Monumento ai Caduti della Grande Guerra (inaugurato il 12 giugno 1927, sei mesi prima del cambio di denominazione della cittadina da Terranova di Sicilia in Gela), la Villa Garibaldi durante il ventennio fascista e negli anni dell'immediato dopoguerra subisce alcune trasformazioni che alterano, pur senza sconvolgerlo del tutto, il disegno originario. A onta degli apprezzabili miglioramenti delle opere di perimetrazione e di recinzione, infatti, venne sensibilmente mortificato l'assetto planimetrico banalizzando, con raddrizzamenti localizzati di parte dei "sentieri" o con la cancellazione di alcuni sistemi di aiuole, l'originaria configurazione a "pratelli" che, fioriti o con rigogliosi "raggruppamenti" di pregevoli specie arbustive e arboree (anche subtropicali), avevano perimetri curvilinei e spezzati in quanto ritagliati da un sistema viario ad andamento sinuoso (con nuclei radiali) intercettato da due assi retti ortogonali (di lunghezza dissimile ma di uguale ampiezza) e preceduto da un comparto con piazzole circolari a bordura e, in prevalenza, con vasche a zampillo centrale. In una di queste piazzuole,in prossimità del corso S. Aldisio (anticamente Corso Borgo, poi divenuto corso XX Settembre per essere ribattezzato, una penultima volta, corso Vittorio Emanuele) trovava posto - su un ampio basamento circolare in pietra - un elegante gazebo, in ferro battuto (databile ante 1898 ma già rimosso, tranne la parte lapidea, intorno al 1938) e con una copertura a calotta, assegnato ai concerti di una banda musicale di quaranta elementi. A una quota inferiore di circa tre metri dal livello stradale del corso S. Aldisio, questo comparto d'invito è quello che è stato maggiormente trasfigurato fra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta. È per quest'area, infatti, che nel 1957 l'architetto Salvatore Cardella (Caltanissetta 1896-1975) redige un considerevole progetto di trasformazione, con la proposta di ridefinizione dell'accesso da corso S. Aldisio e di raccordo di questo con la riformata perimetrazione lungo il burrone, dotata di scenografico scalone a doppia tenaglia ricavato nel muro di contenimento - verso il "burrone" - della sistemazione a pianoro del giardino. Nel quadro dei cospicui interventi a Gela di Cardella (Palazzo Municipale e Tribunale, chiesa di San Michele) il progetto per il giardino comunale ha un particolare significato anche per la "leggerezza" del tipo. Limitato in sede esecutiva al solo ingresso, alla quota stradale al di sopra dell'area prossima al corso S. Aldisio il progetto prevedeva: un "colonnato", a sostegno della terrazza-belvedere verso il "burrone" del canale, lambito da una strada veicolare; un grande emiciclo con pergolati antistante alla scalinata che dalla quota 48,45 dell'allora corso Vittorio Emanuele, portava alla quota 45,50 del piano della villa comunale; sistemazioni a praterie delle vicinanze del "burrone"; la realizzazione di un laghetto, sempre nella parte al di sotto della terrazza panoramica; un nuovo ingresso dal corso Umberto. Sarà solo questo punto del programma - presentato da Cardella - a trovare attuazione in un sistema di sostegni in forma di setti e di pilastri a sezione circolare ("colonne" dalla relazione del progettista del 14 maggio 1957) che sostengono una "svelta" pensilina, aggettante in più punti e con una composizione speculare di forature (ellissoidali al centro, rette sulle ali). Si tratta di una composizione dalla decisa simmetria, aulica ma non monumentale, che manipola riferimenti fieristici pre e postbellici; richiama suggestioni delle architetture termali degli anni Trenta ma anche del periodo della ricostruzione; accenna a certo lirismo ludico di matrice organica (proprio negli anni in cui era stata attiva in Sicilia la "Associazione per l'Architettura Organica") pur senza derogare a quei principi di classicità concettuale che ne avevano contraddistinto, negli anni fra le due guerre, l'adesione al percettivismo soggettivista.
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